venerdì 31 maggio 2013

Le omelie di papa Francesco sul sito del Vaticano

Cari amici,
da oggi possiamo seguire le omelie del papa direttamente dal sito www.vatican.va, grazie alla bella sintesi quotidiana dell'Osservatore Romano.
Basta cliccare qui per arrivarci.
Grazie a tutti coloro che ci hanno seguito in queste prime settimane del pontificato di Francesco e che con noi hanno attinto con gioia ai suoi commenti quotidiani.
Il cammino continua!

sabato 18 maggio 2013

18 maggio. Sabato VII settimana Tempo Pasquale

“A te che importa?” Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo da questa domanda rivolta da Gesù a Pietro che si era immischiato nella vita di un altro, nella vita del discepolo Giovanni, “quello che Gesù amava”. Pietro, ha sottolineato, aveva “un dialogo d’amore” con il Signore, ma poi il dialogo “è deviato su un altro binario” e soffre anche lui una tentazione: “Mischiarsi nella vita degli altri”. Come si dice “volgarmente”, ha osservato il Papa, Pietro fa il “ficcanaso”. E si è dunque soffermato su due modalità di questo mischiarsi nella vita altrui. Innanzitutto, “la comparazione”, il “compararsi con gli altri”. Quando c’è questa comparazione, ha detto, “finiamo nell’amarezza e anche nell’invidia, ma l’invidia arrugginisce la comunità cristiana”, le “fa tanto male”, il “diavolo vuole quello”. La seconda modalità di questa tentazione, ha soggiunto, sono le chiacchiere. Si comincia con “modalità tanto educate”, ma poi finiamo “spellando il prossimo”:
“Quanto si chiacchiera nella Chiesa! Quanto chiacchieriamo noi cristiani! La chiacchiera è proprio spellarsi eh? Farsi male ll'uno l’altro. Come se volesse diminuire l’altro,no? Invece di crescere io, faccio che l’altro sia più basso e mi sento grande. Quello non va! Sembra bello chiacchierare… Non so perché, ma sembra bello. Come le caramelle di miele, no? Tu ne prendi una - Ah, che bello! -e poi un'altra, un'altra, un'altra e alla fine ti viene il mal di pancia. E perché? La chiacchiera è cosi: è dolce all’inizio e poi ti rovina, ti rovina l’anima! Le chiacchiere sono distruttive nella Chiesa, sono distruttive… E’ un po’ lo spirito di Caino: ammazzare il fratello, con la lingua; ammazzare il fratello!”.
Su questa strada, ha detto, “diventiamo cristiani di buone maniere e cattive abitudini!”. Ma come si presenta la chiacchiera? Normalmente, ha osservato Papa Francesco, “facciamo tre cose”:
“Facciamo la disinformazione: dire soltanto la metà che ci conviene e non l’altra metà; l’altra metà non la diciamo perché non è conveniente per noi. Alcuni sorridono… ma è vero quello o no? Hai visto che cosa? E passa. Secondo è la diffamazione: quando una persona davvero ha un difetto, ne ha fatta una grossa, raccontarla, 'fare il giornalista'… E la fama di questa persona è rovinata! E la terza è la calunnia: dire cose che non sono vere. Quello è proprio ammazzare il fratello! Tutti e tre - disinformazione, diffamazione e calunnia - sono peccato! Questo è peccato! Questo è dare uno schiaffo a Gesù nella persona dei suoi figli, dei suoi fratelli”.
Ecco perché Gesù fa con noi come aveva fatto con Pietro quando lo riprende: “A te che importa? Tu segui me!” Il Signore davvero ci “segnala la strada”:
“‘Le chiacchiere non ti faranno bene, perché ti porteranno proprio a questo spirito di distruzione nella Chiesa. Segui me!’. E’ bella questa parola di Gesù, è tanto chiara, è tanto amorosa per noi. Come se dicesse: ‘Non fate fantasie, credendo che la salvezza è nella comparazione con gli altri o nelle chiacchiere. La salvezza è andare dietro di me’. Seguire Gesù! Chiediamo oggi al Signore Gesù che ci dia questa grazia di non immischiarci mai nella vita degli altri, di non diventare cristiani di buone maniere e cattive abitudini, di seguire Gesù, di andare dietro Gesù, sulla sua strada. E questo basta!”.
Durante l’omelia, Papa Francesco ha anche rammentato un episodio della vita di Santa Teresina che si chiedeva perché Gesù dava tanto a uno e poco a un altro. La sorella più grande, allora, prese un ditale e un bicchiere e li riempì di acqua e poi chiese a Teresina quali dei due fosse più pieno. “Ma tutti e due sono pieni”, rispose la futura Santa. Gesù, ha detto il Papa, fa “così con noi”, “non gli interessa se tu sei grande, sei piccolo”. Gli interessa “se tu sei pieno dell’amore di Gesù”.

venerdì 17 maggio 2013

17 maggio. Venerdì VII settimana Tempo Pasquale


Punto di partenza della sua riflessione il passo degli Atti degli apostoli (22, 30; 23, 6-11) che vede protagonista appunto san Paolo nel pieno di una delle sue «battaglie campali». Ma stavolta, ha detto il Papa, è una battaglia «anche un po’ iniziata da lui, con la sua furbizia. Quando si è accorto della divisione fra quelli che lo accusavano», tra sadducei e farisei, ha fatto in modo che andassero «uno contro l’altro. Ma tutta la vita di Paolo era di battaglia campale in battaglia campale, di persecuzione in persecuzione. Una vita con tante prove, perché anche il Signore aveva detto che questo sarebbe stato il suo destino»; un destino «con tante croci, ma lui va avanti; lui guarda il Signore e va avanti».
E «Paolo dà fastidio: è un uomo — ha spiegato il Pontefice — che con la sua predica, con il suo lavoro, con il suo atteggiamento dà fastidio perché proprio annuncia Gesù Cristo. E l’annuncio di Gesù Cristo alle nostre comodità, tante volte alle nostre strutture comode, anche cristiane, dà fastidio. Il Signore sempre vuole che noi andiamo più avanti, più avanti, più avanti». Vuole «che noi non ci rifugiamo in una vita tranquilla o nelle strutture caduche. E Paolo, predicando il Signore, dava fastidio. Ma lui andava avanti, perché aveva in sé quell’atteggiamento tanto cristiano che è lo zelo apostolico. Aveva proprio il fervore apostolico. Non era un uomo di compromesso. No! La verità: avanti! L’annuncio di Gesù Cristo: avanti! Ma questo non era soltanto per il suo temperamento: era un uomo focoso».
Tornando al racconto degli Atti, il Papa ha rilevato come «anche il Signore s’immischia» nella vicenda, «perché proprio dopo questa battaglia campale, la notte seguente, dice a Paolo: coraggio! Va’ avanti, ancora di più! È proprio il Signore che lo spinge ad andare avanti: “Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma”». E, ha aggiunto il Papa, «fra parentesi, a me piace che il Signore si preoccupi di questa diocesi fin da quel tempo: siamo privilegiati!».
«Lo zelo apostolico — ha quindi precisato — non è un entusiasmo per avere il potere, per avere qualcosa. È qualcosa che viene da dentro e che lo stesso Signore vuole da noi: cristiano con zelo apostolico. E da dove viene questo zelo apostolico? Viene dalla conoscenza di Gesù Cristo. Paolo ha trovato Gesù Cristo, ha incontrato Gesù Cristo, ma non con una conoscenza intellettuale, scientifica — è importante perché ci aiuta — ma con quella conoscenza prima, quella del cuore, dell’incontro personale. La conoscenza di Gesù che mi ha salvato e che è morto per me: quello proprio è il punto della conoscenza più profonda di Paolo. E quello lo spinge a andare avanti, annunciare Gesù».
Ecco allora che per Paolo «non  ne finisce una che ne incomincia un’altra. È sempre nei guai, ma nei guai non per i guai, ma per Gesù: annunciando Gesù, le conseguenze sono queste! La conoscenza di Gesù Cristo fa che lui sia un uomo con questo fervore apostolico. È in questa Chiesa e pensa a quella, va in quella e poi torna a questa e va all’altra. E questa è una grazia. È un atteggiamento cristiano il fervore apostolico, lo zelo apostolico».
Papa Francesco ha poi fatto riferimento agli Exercitia spiritualia di sant’Ignazio di Loyola, suggerendo la domanda: «Ma se Cristo ha fatto questo per me, cosa devo fare io per Cristo?». E ha risposto: «Il fervore apostolico, lo zelo apostolico si capisce soltanto in un’atmosfera di amore: senza l’amore non si capisce perché lo zelo apostolico ha qualcosa di pazzia, ma di pazzia spirituale, di sana pazzia. E Paolo aveva questa sana pazzia».
«Chi custodisce proprio lo zelo apostolico — ha proseguito il Pontefice — è lo Spirito Santo; chi fa crescere lo zelo apostolico è lo Spirito Santo: ci dà quel fuoco dentro per andare avanti nell’annuncio di Gesù Cristo. Dobbiamo chiedere a lui la grazia dello zelo apostolico». E questo vale «non soltanto per i missionari, che sono tanto bravi. In questi giorni ho trovato alcuni: “Ah padre, è da sessant’anni che sono missionario nell’Amazzonia”. Sessant’anni e avanti, avanti! Nella Chiesa adesso ce ne sono tanti e zelanti: uomini e donne che vanno avanti, che hanno questo fervore. Ma nella Chiesa ci sono anche cristiani tiepidi, con un certo tepore, che non sentono di andare avanti, sono buoni. Ci sono anche i cristiani da salotto. Quelli educati, tutto bene, ma non sanno fare figli alla Chiesa con l’annuncio e il fervore apostolico».
Il Papa ha invocato quindi lo Spirito Santo perché «ci dia questo fervore apostolico a tutti noi; ci dia anche la grazia di dar fastidio alle cose che sono troppo tranquille nella Chiesa; la grazia di andare avanti verso le periferie esistenziali. La Chiesa ha tanto bisogno di questo! Non soltanto in terra lontana, nelle Chiese giovani, nei popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo. Ma qui in città, in città proprio, hanno bisogno di questo annuncio di Gesù Cristo. Dunque chiediamo allo Spirito Santo questa grazia dello zelo apostolico: cristiani con zelo apostolico. E se diamo fastidio, benedetto sia il Signore. Avanti, come dice il Signore a Paolo: “Coraggio!”».
Hanno concelebrato, tra gli altri, il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson e il vescovo Mario Toso, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, monsignor Luigi Mistò, segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), e il gesuita Hugo Guillermo Ortiz, responsabile dei programmi di lingua spagnola di Radio Vaticana. Tra i presenti, personale del dicastero Iustitia et Pax e un gruppo di dipendenti dell’emittente vaticana.

giovedì 16 maggio 2013

16 maggio. Giovedì VII settimana Tempo Pasquale


Tutta la vita di Paolo è stata “una battaglia campale”, una “vita con tante prove”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sull’Apostolo delle Genti, che, ha detto, passa la sua vita di “persecuzione in persecuzione”, ma non si scoraggia. Il destino di Paolo, ha sottolineato, “è un destino con tante croci, ma lui va avanti; lui guarda il Signore e va avanti”:
“Paolo dà fastidio: è un uomo che con la sua predica, con il suo lavoro, con il suo atteggiamento dà fastidio, perché proprio annunzia Gesù Cristo e l’annunzio di Gesù Cristo alle nostre comodità, tante volte alle nostre strutture comode - anche cristiane, no? - dà fastidio. Il Signore sempre vuole che noi andiamo più avanti, più avanti, più avanti… Che noi non ci rifugiamo in una vita tranquilla o nelle strutture caduche, queste cose, no? Il Signore… E Paolo, predicando il Signore, dava fastidio. Ma lui andava avanti, perché lui aveva in sé quell’atteggiamento tanto cristiano che è lo zelo apostolico. Aveva proprio il fervore apostolico. Non era un uomo di compromesso. No! La verità: avanti! L’annunzio di Gesù Cristo: avanti!”
Certo, ha osservato Papa Francesco, San Paolo era un “uomo focoso”. Ma qui non si tratta solo del suo temperamento. E’ il Signore che “si immischia in questo”, in questa battaglia campale. Anzi, ha continuato, è proprio il Signore che lo spinge “ad andare avanti”, a dare testimonianza anche a Roma:
“Fra parentesi, a me piace che il Signore si preoccupi di questa diocesi, fin da quel tempo… Siamo privilegiati! E Lo zelo apostolico non è un entusiasmo per avere il potere, per avere qualcosa. E’ qualcosa che viene da dentro, che lo stesso Signore lo vuole da noi: cristiano con zelo apostolico. E da dove viene questo zelo apostolico? Viene dalla conoscenza di Gesù Cristo. Paolo ha trovato Gesù Cristo, ha incontrato Gesù Cristo, ma non con una conoscenza intellettuale, scientifica - quello è importante, perché ci aiuta - ma con quella conoscenza prima, quella del cuore, dell’incontro personale”.
Ecco cosa spinge Paolo ad andare avanti, “ad annunziare Gesù sempre”. E ha aggiunto: “E’ sempre nei guai, ma nei guai non per i guai, ma per Gesù”, annunciando Gesù “le conseguenze sono queste”. Il fervore apostolico, ha sottolineato, si capisce solo “in un’atmosfera d’amore”. Lo zelo apostolico, ha detto ancora, “ha qualcosa di pazzia, ma di pazzia spirituale, di sana pazzia”. E Paolo “aveva questa sana pazzia”. Il Papa ha dunque invitato tutti i fedeli a chiedere allo Spirito Santo che faccia crescere in noi lo zelo apostolico che non deve appartenere solo ai missionari. D'altro canto, ha avvertito, anche nella Chiesa ci sono “cristiani tiepidi”, che “non sentono di andare avanti”:
“Anche ci sono i cristiani da salotto, no? Quelli educati, tutto bene, ma non sanno fare figli alla Chiesa con l’annunzio e il fervore apostolico. Oggi possiamo chiedere allo Spirito Santo che ci dia questo fervore apostolico a tutti noi, anche ci dia la grazia di dare fastidio alle cose che sono troppo tranquille nella Chiesa; la grazia di andare avanti verso le periferie esistenziali. Tanto bisogno ha la Chiesa di questo! Non soltanto in terra lontana, nelle chiese giovani, nei popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo, ma qui in città, in città proprio, hanno bisogno di questo annuncio di Gesù Cristo. Dunque chiediamo allo Spirito Santo questa grazia dello zelo apostolico, cristiani con zelo apostolico. E se diamo fastidio, benedetto sia il Signore. Avanti, come dice il Signore a Paolo: ‘Coraggio’”!

mercoledì 15 maggio 2013

15 maggio. Mercoledì VII settimana Tempo Pasquale



 Il Santo Padre ha commentato le letture del giorno: la prima  (Atti degli apostoli 20, 28-38)   «è una delle pagine più belle del Nuovo Testamento»  ha notato. Racconta del rapporto tra  Paolo e i fedeli di Efeso, dunque del rapporto del vescovo con il suo popolo, «fatto di amore e di tenerezza». Di questo rapporto si parla anche  nel Vangelo di Giovanni (17, 11-19), «dove ci sono alcune parole chiave», ha spiegato il Pontefice,  che il Signore rivolge ai discepoli: «vegliate»;  «custodite, custodite il popolo»; «edificate, difendete». E «Gesù dice al Padre: “consacra”». Sono parole e gesti  che esprimono  proprio un rapporto di protezione, di amore fra Dio e il pastore e fra il pastore e il popolo. «Questo — ha precisato il Papa — è un messaggio per noi vescovi, per i preti e per i sacerdoti. Gesù  dice a noi: “Vegliate su voi stessi e su tutto il creato”. Il vescovo e il prete devono vegliare, fare la veglia proprio sul suo popolo. Anche curare il suo popolo, farlo crescere. Anche fare sentinella per avvertirlo quando vengono i lupi». 
Tutto ciò «indica un rapporto molto importante fra vescovo, prete e popolo di Dio. Alla fine un vescovo non è vescovo per se stesso, è per il popolo; e un prete non è prete per se stesso, è per il popolo». Un rapporto «molto bello» basato sull’amore reciproco. E «così la Chiesa diventa unita. Voi — ha chiesto ai fedeli — pensate sempre ai vescovi e ai preti, eh? Abbiamo bisogno delle vostre preghiere».
Del resto, ha precisato, il rapporto tra vescovi, preti e popolo di Dio non è fondato sulla solidarietà sociale, per cui «il vescovo, il prete è solidale col popolo: noi qui, voi là». Si tratta piuttosto di un «rapporto esistenziale», «sacramentale», come quello descritto nel Vangelo, nel quale «vescovo, preti e popolo si inginocchiano e pregano e piangono. E quella è la Chiesa unita! L’amore mutuo tra vescovo, prete e popolo. Noi abbiamo bisogno delle vostre preghiere per fare questo, perché anche il vescovo e il prete possono essere tentati».
Dunque, primo compito di un vescovo e di un prete «è pregare e predicare il Vangelo. Un vescovo, un prete deve pregare e tanto... Deve annunciare Gesù Cristo Risorto e tanto. Noi dobbiamo chiedere al Signore che custodisca proprio noi vescovi e i preti, perché possiamo pregare, intercedere,  predicare con coraggio il messaggio di salvezza. Il Signore ci ha salvato! E lui è vivo fra noi»!
Ma «anche noi —  ha aggiunto — siamo uomini e siamo peccatori»: tutti possiamo  essere peccatori «e  siamo anche tentati. Quali sono le tentazioni del vescovo e del prete? Sant’Agostino, commentando il profeta Ezechiele, parla di due tentazioni: la ricchezza, che può diventare avarizia, e la vanità. E dice: “Quando il vescovo, il prete si approfitta delle pecore per se stesso, il movimento cambia: non è il prete, il vescovo per il popolo, ma il prete e il vescovo che prende dal popolo”». Sete e vanità: ecco le due tentazioni di cui parla  sant’Agostino: «È la verità! Quando un prete, un vescovo va dietro ai soldi, il popolo non lo ama e quello è un segno. E lui stesso finisce male. Paolo parla di questo: “Ho lavorato con le mie mani”. Paolo non aveva un conto in banca, lavorava. E quando un vescovo, un prete va sulla strada della vanità, entra nello spirito del carrierismo,  fa tanto male alla Chiesa». E alla fine diventa persino ridicolo, perché  «si vanta, gli piace farsi vedere, tutto potente... E il popolo non ama quello! Vedete qual è la nostra difficoltà e anche le nostre tentazioni; perciò dovete pregare per noi, perché siamo poveri, perché siamo umili, miti, di servizio del popolo».
Il Pontefice ha rinnovato ai presenti l’invito a rileggere questa pagina di Vangelo per convincersi della necessità di pregare per «noi vescovi e per i preti. Ne abbiamo tanto bisogno per rimanere fedeli, per essere uomini che vegliano sul gregge e anche su noi stessi». E anche  perché  «il Signore ci difenda dalle tentazioni, perché se noi andiamo sulla strada delle ricchezze, se andiamo sulla strada della vanità, diventiamo lupi,  E non pastori».

martedì 14 maggio 2013

14 maggio. San Mattia

Se vogliamo davvero seguire Gesù, dobbiamo “vivere la vita come un dono” da dare agli altri, “non come un tesoro da conservare”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che, nella sua omelia, si è soffermato sulla contrapposizione tra la strada dell'amore e quella dell'egoismo. Gesù, ha affermato, ci dice oggi una parola forte: “Nessuno ha un amore più forte di questo: dare la sua vita”. Ma la liturgia odierna, ha osservato, ci mostra anche un’altra persona: Giuda, “che aveva proprio l’atteggiamento contrario”. E questo, ha spiegato, perché Giuda "mai ha capito cosa sia un dono":
“Pensiamo a quel momento della Maddalena, quando lava i piedi di Gesù con il nardo, tanto costoso: è un momento religioso, un momento di gratitudine, un momento di amore. E lui, si distacca e fa la critica amara: ‘Ma questo potrebbe essere usato per i poveri!’. Questo è il primo riferimento che ho trovato io, nel Vangelo, della povertà come ideologia. L’ideologo non sa cosa sia l’amore, perché non sa darsi”.
Giuda, ha osservato Papa Francesco, era “staccato, nella sua solitudine” e questo atteggiamento dell’egoismo è cresciuto “fino al tradimento di Gesù”. Chi ama, ha aggiunto, “dà la vita come dono”; l’egoista invece “cura la sua vita, cresce in questo egoismo e diventa un traditore, ma sempre solo”. Chi, invece, “dà la vita per amore, mai è solo: sempre è in comunità, è in famiglia”. Del resto, ha avvertito il Papa, colui che “isola la sua coscienza nell’egoismo” alla fine “la perde”. E così è finito Giuda che, ha detto, “era un idolatra, attaccato ai soldi”:
“E questa idolatria lo ha portato a isolarsi dalla comunità degli altri. Questo è il dramma della coscienza isolata: quando un cristiano incomincia ad isolarsi, anche isola la sua coscienza dal senso comunitario, dal senso della Chiesa, da quell’amore che Gesù ci dà. Invece, quel cristiano che dona la sua vita, che la 'perde', come dice Gesù, la trova, la ritrova, in pienezza. E quello, come Giuda, che vuole conservarla per se stesso, la perde alla fine. Giovanni ci dice che ‘in quel momento Satana entrò nel cuore di Giuda’. E, dobbiamo dirlo: Satana è un cattivo pagatore. Sempre ci truffa: sempre!”.
Gesù invece ama sempre e sempre si dona. E questo suo dono dell’amore, ha detto Papa Francesco, ci spinge ad amare “per dare frutto. E il frutto rimane”. Quindi, ha concluso l’omelia con un’invocazione allo Spirito Santo:
“In questi giorni di attesa della festa dello Spirito Santo, chiediamo: Vieni, Spirito Santo, vieni e dammi questo cuore largo, questo cuore che sia capace di amare con umiltà, con mitezza ma sempre questo cuore largo che sia capace di amare. E chiediamogli questa grazia, allo Spirito Santo. E che ci liberi sempre dall’altra strada, quella dell’egoismo, che alla fine finisce male. Chiediamo questa grazia”.

lunedì 13 maggio 2013

13 maggio. Lunedì VII settimana Tempo Pasquale

La risposta che San Paolo riceve da un gruppo di discepoli di Efeso, riportata negli Atti degli Apostoli, è sorprendente: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo”. Papa Francesco inizia l’omelia da quelle parole, dallo stupore suscitato da esse in Paolo, osservando però con realismo che l’inconsapevolezza manifestata dai cristiani di duemila anni fa non è solo “una cosa dei primi tempi”, "lo Spirito Santo - dice - è sempre un po' lo sconosciuto della nostra fede":
“Adesso, tanti cristiani non sanno chi sia lo Spirito Santo, come sia lo Spirito Santo. E alcune volte si sente: ‘Ma io mi arrangio bene con il Padre e con il Figlio, perché prego il Padre Nostro al Padre, faccio la comunione con il Figlio, ma con lo Spirito Santo non so cosa fare…’. O ti dicono: ‘Lo Spirito Santo è la colomba, quello che ci dà sette regali’. Ma così il povero Spirito Santo è sempre alla fine e non trova un buon posto nella nostra vita”.
Invece, prosegue Papa Francesco, lo Spirito Santo è un “Dio attivo in noi”, un “Dio che fa ricordare”, che “fa svegliare la memoria”. Gesù stesso lo spiega agli Apostoli prima della Pentecoste: lo Spirito che Dio vi invierà in mio nome, assicura, “vi ricorderà tutto quello che ho detto”. Viceversa, per un cristiano si profilerebbe una china pericolosa:
“Un cristiano senza memoria non è un vero cristiano: è un uomo o una donna che prigioniero della congiuntura, del momento; non ha storia. Ne ha, ma non sa come prendere la storia. E’ proprio lo Spirito che gli insegna come prendere la storia. La memoria della storia… Quando nella Lettera agli Ebrei, l’autore dice: ‘Ricordate i vostri padri nella fede’ – memoria; ‘ricordate i primi giorni della vostra fede, come siete stati coraggiosi’ – memoria. Memoria della nostra vita, della nostra storia, memoria dal momento che abbiamo avuto la grazia di incontrare Gesù; memoria di tutto quello che Gesù ci ha detto”.
“Quella memoria che viene dal cuore, quella è una grazia dello Spirito Santo”, ripete con forza Papa Francesco. E avere memoria – precisa – significa anche ricordare le proprie miserie, che rendono schiavi, e insieme la grazia di Dio che da quelle miserie redime:
“E quando viene un po’ la vanità, e uno crede di essere un po’ il Premio Nobel della Santità, anche la memoria ci fa bene: ‘Ma … ricordati da dove ti ho preso: dalla fine del gregge. Tu eri dietro, nel gregge’. La memoria è una grazia grande, e quando un cristiano non ha memoria – è duro, questo, ma è la verità – non è cristiano: è idolatra. Perché è davanti ad un Dio che non ha strada, non sa fare strada, e il nostro Dio fa strada con noi, si mischia con noi, cammina con noi. Ci salva. Fa storia con noi. Memoria di tutto quello, e la vita diventa più fruttuosa, con questa grazia della memoria”.
Papa Francesco conclude quindi con un invito ai cristiani a chiedere la grazia della memoria per essere, afferma, persone che non dimenticano la strada compiuta, "non dimenticano le grazie della loro vita, non dimenticano il perdono dei peccati, non dimenticano che sono stati schiavi e il Signore li ha salvati”.

sabato 11 maggio 2013

11 maggio. Sabato VI settimana Tempo Pasquale


L’omelia del Papa si è concentrata sul Vangelo del giorno, laddove Gesù dice: “Se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà”. “C’è qualcosa di nuovo, qui – spiega il Pontefice - qualcosa che cambia: è una novità nella preghiera. Il Padre ci darà tutto, ma sempre nel nome di Gesù”. Il Signore ascende al Padre, entra “nel Santuario del cielo”, apre le porte e le lascia aperte perché “Lui stesso è la porta” e “intercede per noi”, “fino alla fine del mondo”, come un sacerdote:
“Lui prega per noi davanti al Padre. A me è sempre piaciuto, questo. Gesù, nella sua resurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi, sono spariti. Ma Lui ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre: ‘Ma … guarda … questo Ti chiede nel nome mio, guarda!’. Questa è la novità che Gesù ci dice. Ci dice questa novità: avere fiducia nella sua passione, avere fiducia nella sua vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue piaghe. Lui è il sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe. E questo ci da fiducia, eh?, ci da il coraggio di pregare”.
Tante volte ci annoiamo nella preghiera – osserva il Papa, che aggiunge: la preghiera non è chiedere questo o quello, ma è “l’intercessione di Gesù, che davanti al Padre gli fa vedere le sue piaghe”:
“La preghiera verso il Padre in nome di Gesù ci fa uscire da noi stessi; la preghiera che ci annoia è sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi”. 
Ma come “possiamo riconoscere le piaghe di Gesù in cielo?” – si chiede il Papa – “Dov’è la scuola dove si impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione? C’è un altro esodo da noi stessi verso le piaghe dei nostri fratelli: dei nostri fratelli e delle nostre sorelle bisognosi”:
“Se noi non riusciamo ad uscire da noi stessi verso il fratello bisognoso, verso il malato, l’ignorante, il povero, lo sfruttato, se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù. Ci sono due uscite da noi stessi: una verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera”. 
“Questo è il nuovo modo di pregare: – conclude il Papa - con la fiducia, il coraggio che ci dà sapere che Gesù è davanti al Padre facendogli vedere le sue piaghe, ma anche con l’umiltà di quelli che vanno a conoscere, a trovare le piaghe di Gesù nei suoi fratelli bisognosi” che “portano ancora la Croce e ancora non hanno vinto, come ha vinto Gesù”.

venerdì 10 maggio 2013

10 maggio. Venerdì VI settimana Tempo Pasquale


Il cristiano sia un testimone della vera gioia, quella che dà Gesù. E’ quanto affermato da Papa Francesco che, nella sua omelia, ha messo l’accento sull’atteggiamento gioioso dei discepoli, tra l’Ascensione e la Pentecoste:
“Il cristiano è un uomo e una donna di gioia. Questo ci insegna Gesù, ci insegna la Chiesa, in questo tempo in maniera speciale. Che cosa è, questa gioia? E’ l’allegria? No: non è lo stesso. L’allegria è buona, eh?, rallegrarsi è buono. Ma la gioia è di più, è un’altra cosa. E’ una cosa che non viene dai motivi congiunturali, dai motivi del momento: è una cosa più profonda. E’ un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità, e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana, ci fa un po’ scemi, ingenui, no?, tutto è allegria … no. La gioia è un’altra cosa. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. E’ come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre”.
L’uomo gioioso, ha proseguito, è un uomo sicuro. Sicuro che “Gesù è con noi, che Gesù è con il Padre”. Ma questa gioia, si chiede il Papa, possiamo “imbottigliarla un po’, per averla sempre con noi?”:
“No, perché se noi vogliamo avere questa gioia soltanto per noi alla fine si ammala e il nostro cuore diviene un po’ stropicciato, e la nostra faccia non trasmette quella gioia grande ma quella nostalgia, quella malinconia che non è sana. Alcune volte questi cristiani malinconici hanno più faccia da peperoncini all’aceto che proprio di gioiosi che hanno una vita bella. La gioia non può diventare ferma: deve andare. La gioia è una virtù pellegrina. E’ un dono che cammina, che cammina sulla strada della vita, cammina con Gesù: predicare, annunziare Gesù, la gioia, allunga la strada e allarga la strada. E’ proprio una virtù dei grandi, di quei grandi che sono al di sopra delle pochezze, che sono al di sopra di queste piccolezze umane, che non si lasciano coinvolgere in quelle piccole cose interne della comunità, della Chiesa: guardano sempre all’orizzonte”.
La gioia è “pellegrina”, ha ribadito. “Il cristiano canta con la gioia, e cammina, e porta questa gioia”. E’ una virtù del cammino, anzi più che una virtù è un dono:
“E’ il dono che ci porta alla virtù della magnanimità. Il cristiano è magnanimo, non può essere pusillanime: è magnanimo. E proprio la magnanimità è la virtù del respiro, è la virtù di andare sempre avanti, ma con quello spirito pieno dello Spirito Santo. E’ una grazia che dobbiamo chiedere al Signore, la gioia. In questi giorni in modo speciale, perché la Chiesa si invita, la Chiesa ci invita a chiedere la gioia e anche il desiderio: quello che porta avanti la vita del cristiano è il desiderio. Quanto più grande è il tuo desiderio, tanto più grande verrà la gioia. Il cristiano è un uomo, è una donna di desiderio: sempre desiderare di più nella strada della vita. Chiediamo al Signore questa grazia, questo dono dello Spirito: la gioia cristiana. Lontana dalla tristezza, lontana dall’allegria semplice … è un’altra cosa. E’ una grazia da chiedere”.
Oggi, ha poi concluso Papa Francesco, c’è un motivo bello di gioia per la presenza a Roma di Tawadros II, Patriarca di Alessandria. E’ un motivo di gioia, ha sottolineato, “perché è un fratello che viene a trovare la Chiesa di Roma per parlare”, per fare assieme “un pezzo di strada”.

mercoledì 8 maggio 2013

8 maggio. Mercoledì VI settimana Tempo Pasquale


I cristiani di oggi siano come Paolo che, parlando ai greci nell’Areopago, costruì ponti per annunziare il Vangelo senza condannare nessuno. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha messo l’accento sull’atteggiamento “coraggioso” di Paolo che “si avvicina di più al cuore” di chi ascolta, “cerca il dialogo”. Per questo, ha osservato, l’Apostolo delle Genti fu davvero un “pontefice, costruttore di ponti” e non “costruttore di muri”. Questo, ha aggiunto, ci fa pensare all’atteggiamento che sempre deve avere un cristiano:
“Un cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che Gesù Cristo venga accettato, ricevuto, non rifiutato. E Paolo sa che lui deve seminare questo messaggio evangelico. Lui sa che l’annunzio di Gesù Cristo non è facile, ma che non dipende da lui: lui deve fare tutto il possibile, ma l’annunzio di Gesù Cristo, l’annunzio della verità, dipende dalla Spirito Santo. Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: ‘Quando verrà Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità’. Paolo non dice agli ateniesi: ‘Questa è la enciclopedia della verità. Studiate questo e avrete la verità, la verità!’. No! La verità non entra in una enciclopedia. La verità è un incontro; è un incontro con la Somma verità: Gesù, la grande verità. Nessuno è padrone della verità. La verità si riceve nell’incontro”.
Ma perché Paolo ha agito così? Innanzitutto, ha affermato il Papa, perché “questo è il modo” di Gesù che “ha parlato con tutti” con i peccatori, i pubblicani, i dottori della legge. Paolo, dunque, “segue l’atteggiamento di Gesù”:
“Il cristiano che vuol portare il Vangelo deve andare per questa strada: sentire tutti! Ma adesso è un buon tempo nella vita della Chiesa: questi ultimi 50 anni, 60 anni sono un bel tempo, perché io ricordo quando bambino si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: ‘No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh!’. Era come una esclusione. No, non potevi andare! O perché sono socialisti o atei, non possiamo andare. Adesso - grazie a Dio – no, non si dice quello, no? Non si dice quello no? Non si dice! C’era come una difesa della fede, ma con i muri: il Signore ha fatto dei ponti. Primo: Paolo ha questo atteggiamento, perché è stato l’atteggiamento di Gesù. Secondo: Paolo è consapevole che lui deve evangelizzare, non fare proseliti”.
La Chiesa, è stata la sua riflessione citando Benedetto XVI, “non cresce nel proselitismo”, ma “cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione”. E Paolo aveva proprio questo atteggiamento: annuncia non fa proselitismo. E riesce ad agire così perché “non dubitava del suo Signore”. “I cristiani che hanno paura di fare ponti e preferiscono costruire muri – ha avvertito – sono cristiani non sicuri della propria fede, non sicuri di Gesù Cristo". I cristiani invece, è stata la sua esortazione, facciano come Paolo e inizino "a costruire ponti e ad andare avanti":
“Paolo ci insegna questo cammino di evangelizzare, perché lo ha fatto Gesù, perché è ben consapevole che l’evangelizzazione non è fare proselitismo: è perché è sicuro di Gesù Cristo e non ha bisogno di giustificarsi e di cercare ragioni per giustificarsi. Quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico diventa una Chiesa ferma, una Chiesa ordinata, bella, tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole… tante cose. Chiediamo oggi a San Paolo che ci dia questo coraggio apostolico, questo fervore spirituale, di essere sicuri. ‘Ma, Padre, noi possiamo sbagliarci’…. 'Avanti, se ti sbagli, ti alzi e avanti: quello è il cammino'. Quelli che non camminano per non sbagliarsi, fanno uno sbaglio più grave. Così sia”.

martedì 7 maggio 2013

7 maggio. Martedì VI settimana Tempo Pasquale


Anche nelle tribolazioni, i cristiani sono gioiosi e mai tristi. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha messo l’accento sulla gioia di Paolo e Sila, chiamati ad affrontare prigionia e persecuzioni per testimoniare il Vangelo. Erano gioiosi, ha detto, perché seguivano Gesù nella strada della sua Passione. Una strada che il Signore percorre con pazienza:
“Entrare in pazienza: quella è la strada che Gesù anche ci insegna a noi cristiani. Entrare in pazienza… Questo non vuol dire essere tristi. No, no, è un’altra cosa! Questo vuol dire sopportare, portare sulle spalle il peso delle difficoltà, il peso delle contraddizioni, il peso delle tribolazioni. Questo atteggiamento cristiano di sopportare: entrare in pazienza. Quello che nella Bibbia si dice con una parola greca, ma tanto piena, la Hypomoné, sopportare nella vita il lavoro di tutti i giorni: le contraddizioni, le tribolazioni, tutto questo. Questi - Paolo e Sila - sopportano le tribolazioni, sopportano le umiliazioni: Gesù le ha sopportate, è entrato in pazienza. Questo è un processo - mi permetto la parola 'un processo' - un processo di maturità cristiana, attraverso la strada della pazienza. Un processo da tempo, che non si fa da un giorno all’altro: si fa durante tutta la vita per venire alla maturità cristiana. E’ come il buon vino”.
Il Papa ha così ricordato che tanti martiri erano gioiosi, come per esempio i martiri di Nagasaki che si aiutavano l’uno con l’altro, “aspettando il momento della morte”. Di alcuni martiri, ha poi rammentato, si diceva che “andavano al martirio” come a una “festa di nozze”. Questo atteggiamento del sopportare, ha aggiunto, è l’atteggiamento normale del cristiano, ma non è un atteggiamento masochista. E’ invece un atteggiamento che li porta “sulla strada di Gesù”:
“Quando vengono le difficoltà, anche arrivano tante tentazioni. Per esempio il lamento: ‘Ma guardi quel che mi viene'... un lamento. E un cristiano che continuamente si lamenta, tralascia di essere un buon cristiano: è il signore o la signora lamentela, no? Perché sempre si lamenta di tutto, no? Il silenzio nel sopportare, il silenzio nella pazienza. Quel silenzio di Gesù: Gesù nella sua Passione non ha parlato di più, soltanto due o tre parole necessarie… Ma anche non è un silenzio triste: il silenzio del sopportare la Croce non è un silenzio triste. E’ doloroso, tante volte molto doloroso, ma non è triste. Il cuore è in pace. Paolo e Sila pregavano in pace. Avevano dolori, perché si dice che poi il Signore del carcere ha lavato le piaghe - avevano piaghe - ma sopportavano in pace. Questo cammino di sopportare ci fa approfondire la pace cristiana, ci fa forti in Gesù”.
Ecco che allora il cristiano è chiamato a sopportare come Gesù ha fatto, “senza lamentele, sopportare in pace”. E, ha detto ancora Papa Francesco, questo “andare in pazienza, rinnova la nostra giovinezza e ci fa più giovani”:
“Il paziente è quello che, alla lunga, è più giovane! Pensiamo a quegli anziani e anziane nella casa del riposo, a quelli che hanno sopportato tanto nella vita: Guardiamo gli occhi, occhi giovani, hanno uno spirito giovane e una rinnovata giovinezza. E a questo ci invita il Signore: a questa rinnovata giovinezza pasquale per il cammino dell’amore, della pazienza, del sopportare le tribolazioni e anche - mi permetto di dire - di sopportarci l’uno l’altro. Perché questo dobbiamo farlo anche con carità e con amore, perché se io devo sopportare te, sono sicuro che tu mi sopporti a me e così andiamo avanti nel cammino della strada di Gesù. Chiediamo al Signore la grazia di questo sopportare cristiano che ci dà la pace, di questo sopportare col cuore, di questo sopportare gioioso per diventare sempre più giovani, come il buon vino: più giovani con questa rinnovata gioventù pasquale dello spirito. Così sia”.

lunedì 6 maggio 2013

6 maggio. Lunedì VI settimana Tempo Pasquale


Un’omelia tutta centrata sullo Spirito Santo che è “proprio Dio, la Persona Dio, che dà testimonianza di Gesù Cristo in noi”. Il Papa ha indicato la protezione dello Spirito Santo che “Gesù chiama Paraclito”, “cioè quello che ci difende”, che “sempre è affianco a noi per sostenerci”:
“La vita cristiana non si può capire senza la presenza dello Spirito Santo: non sarebbe cristiana. Sarebbe una vita religiosa, pagana, pietosa, che crede in Dio, ma senza la vitalità che Gesù vuole per i suoi discepoli. E quello che dà la vitalità è lo Spirito Santo, presente”.
Lo Spirito “dà testimonianza” di Gesù - sottolinea il Papa - “affinché noi possiamo darla agli altri”:
“Nella prima lettura c’è una cosa bella: quella donna che ascoltava Paolo, che si chiamava Lidia. Si dice di lei che il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Questo fa lo Spirito Santo: ci apre il cuore per conoscere Gesù. Senza di Lui non possiamo conoscere Gesù. Ci prepara all’incontro con Gesù. Ci fa andare per la strada di Gesù. Lo Spirito Santo agisce in noi durante tutta la giornata, durante tutta la nostra vita, come testimone che ci dice dove è Gesù”.
Il Papa ha esortato più volte alla preghiera, quale via per avere, in “ogni momento”, la grazia della “fecondità della Pasqua”. Una ricchezza possibile – ha detto – grazie allo Spirito Santo. Quindi ha guardato “all’esame di coscienza”, “che i cristiani fanno sulla giornata che hanno vissuto”, un “esercizio” che “ci fa bene - ha affermato - perché è prendere proprio coscienza di quello che nel nostro cuore ha fatto il Signore”:
“Chiediamo la grazia di abituarci alla presenza di questo compagno di strada, lo Spirito Santo, di questo testimone di Gesù che ci dice dove è Gesù, come trovare Gesù, cosa ci dice Gesù. Avere una certa familiarità: è un amico. Gesù l’ha detto: ‘No, non ti lascio solo, ti lascio Questo’. Gesù ce lo lascia come amico. Abbiamo l’abitudine di domandarci, prima che finisca la giornata: ‘Cosa ha fatto oggi lo Spirito Santo in me? Quale testimonianza mi ha dato? Come mi ha parlato? Cosa mi ha suggerito?’. Perché è una presenza divina che ci aiuta ad andare avanti nella nostra vita di cristiani. Chiediamo questa grazia, oggi. E questo farà che, come lo abbiamo chiesto nella preghiera, che in ogni momento abbiamo presente la fecondità della Pasqua. Così sia”.

sabato 4 maggio 2013

4 maggio. Sabato V settimana Tempo Pasquale

Sono l’umiltà e la mitezza le armi che abbiamo per difenderci dall'odio del mondo. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha incentrato la sua omelia sulla lotta tra l’amore di Cristo e l’odio del principe del mondo. Il Signore, ha ricordato, ci dice di non spaventarci perché il mondo ci odierà come ha odiato Lui:
“La strada dei cristiani è la strada di Gesù. Se noi vogliamo essere seguaci di Gesù, non c’è un’altra strada: quella che Lui ha segnato. E una delle conseguenze di questo è l’odio, è l’odio del mondo, e anche del principe di questo mondo. Il mondo amerebbe ciò che è suo. ‘Vi ho scelti io, dal mondo’: è stato Lui proprio che ci ha riscattato dal mondo, ci ha scelti: pura grazia! Con la sua morte, con la sua resurrezione, ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: siamo salvati. E quel principe che non vuole, che non vuole che noi siamo stati salvati, odia”.
Ecco allora che l’odio e la persecuzione dai primi tempi della Chiesa arrivano fino ad oggi. Ci sono “tante comunità cristiane perseguitate nel mondo – ha constatato con amarezza il Papa – in questo tempo più che nei primi tempi: oggi, adesso, in questo giorno e in questa ora”. Perché questo, si chiede ancora il Papa? Perché “lo spirito del mondo odia”. E da questo deriva un ammonimento sempre attuale:
“Con il principe di questo mondo non si può dialogare: e questo sia chiaro! Oggi il dialogo è necessario fra noi, è necessario per la pace. Il dialogo è un’abitudine, è proprio un atteggiamento che noi dobbiamo avere tra noi per sentirci, capirci … ma quello deve mantenere sempre. Il dialogo nasce dalla carità, dall’amore. Ma con quel principe non si può dialogare: soltanto rispondere con la Parola di Dio che ci difende, perché il mondo ci odia. E come ha fatto con Gesù, farà con noi. ‘Ma, guarda, fai questo, una piccola truffa … non c’è niente, è piccola …’, e incomincia a portarci su una strada un po’ non giusta. Questa è una pia bugia: ‘Fallo, fallo, fallo: non c’è problema’, e incomincia da poco, sempre, no? E: ‘Ma … tu sei bravo, tu sei bravo: puoi farlo’. E’ lusinghiero, e con le lusinghe ci ammorbidisce. Fa così. E poi, noi cadiamo nella trappola”.
Il Signore, ha proseguito Papa Francesco, ci chiede di rimanere pecorelle, perché se uno lascia di essere pecorella, allora non si ha “un pastore che ti difenda e cadi nelle mani di questi lupi”:
“Voi potete fare la domanda: ‘Padre, qual è l’arma per difendersi da queste seduzioni, da questi fuochi d’artificio che fa il principe di questo mondo?, da queste lusinghe?’. L’arma è la stessa arma di Gesù: la Parola di Dio - non dialogare - ma sempre la Parola di Dio e poi l’umiltà e la mitezza. Pensiamo a Gesù, quando gli danno quello schiaffo: che umiltà, che mitezza! Poteva insultarlo, no? Soltanto una domanda, mite e umile. Pensiamo a Gesù nella sua Passione. Il suo Profeta dice: ‘Come una pecora che va al mattatoio’. Non grida, niente: l’umiltà. Umiltà e mitezza. Queste sono le armi che il principe del mondo e lo spirito del mondo non tollera, perché le sue proposte sono proposte di potere mondano, proposte di vanità, proposte di ricchezze male acquisite, sono proposte così”.
Oggi, ha proseguito, “Gesù ci fa pensare a quest’odio che ha il mondo contro di noi, contro i seguaci di Gesù”. Ci odia, ha riaffermato, “perché Lui ci ha salvati, ci ha riscattati”. E pensiamo alle “armi per difenderci”, ha aggiunto: rimanere sempre pecorelle, “perché così abbiamo un pastore, ed essendo pecorelle siamo miti e umili”. Infine, l’invocazione alla Madonna affinché “ci aiuti a diventare umili e miti nella strada di Gesù”.

venerdì 3 maggio 2013

3 maggio. Venerdì V settimana Tempo Pasquale


“Che il Signore ci dia a tutti noi” la “grazia del coraggio” e la "perseveranza" nella preghiera. E’ quanto affermato da Papa Francesco che ha incentrato la sua omelia proprio sul tema del coraggio nell’annuncio del Vangelo. Tutti noi cristiani che abbiamo ricevuto la fede, ha detto, “dobbiamo trasmetterla”, “dobbiamo proclamarla con la nostra vita, con la nostra parola”. Ma qual è dunque questa fede fondamentale? E’, ha sottolineato il Papa, la “fede in Gesù Risorto, in Gesù che ci ha perdonato i peccati con la sua morte e ci ha riconciliato con il Padre”:
“E trasmettere questo chiede a noi di essere coraggiosi: il coraggio del trasmettere la fede. Un coraggio, alcune volte, semplice. Io ricordo - scusatemi - una storia personale: da bambino mia nonna ogni Venerdì Santo ci portava alla Processione delle Candele e alla fine della processione arrivava il Cristo giacente e la nonna ci faceva inginocchiare e ci diceva, a noi bambini: ‘Guardate è morto, ma domani sarà risorto!’. La fede è entrata così: la fede in Cristo morto e risorto. Nella storia della Chiesa sono stati tanti, tanti che hanno voluto come un po’ sfumare questa certezza forte e parlano di una resurrezione spirituale. No, Cristo è vivo!”.
“Cristo è vivo” ed è “anche vivo fra noi!”, ha ribadito Papa Francesco che ha esortato i cristiani ad avere il coraggio di annunciare la sua Risurrezione, la Buona Notizia. Ma, ha proseguito, c’è anche un altro coraggio che ci chiede Gesù:
“Gesù - per dirlo un po’ fortemente - ci sfida alla preghiera e dice cosi: ‘Qualunque cosa chiederete nel mio nome la farò perché il Padre sia glorificato nel Figlio’. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò… Ma è forte questo! Abbiamo il coraggio di andare da Gesù e chiedergli così: ‘Ma tu hai detto questo, fallo! Fa che la fede vada avanti, fa che la evangelizzazione vada avanti, fa che questo problema che ho venga risolto…’. Abbiamo questo coraggio nella preghiera? O preghiamo un po’ così, come si può, spendendo un po’ di tempo nella preghiera? Ma quel coraggio, quella parresia anche nella preghiera…”.
Il Papa ha così ricordato come nella Bibbia leggiamo che Abramo e Mosè hanno il coraggio di “negoziare col Signore”. Un coraggio “in favore degli altri, in favore della Chiesa” che serve anche oggi:
“Quando la Chiesa perde il coraggio, entra nella Chiesa l’atmosfera di tepore. I tiepidi, i cristiani tiepidi, senza coraggio… Quello fa tanto male alla Chiesa, perché il tepore ti porta dentro, incominciano i problemi fra noi; non abbiamo orizzonti, non abbiamo coraggio, né il coraggio della preghiera verso il cielo e neppure il coraggio di annunziare il Vangelo. Siamo tiepidi… E noi abbiamo il coraggio di immischiarci nelle nostre piccole cose, nelle nostre gelosie, nelle nostre invidie, nel carrierismo, nell’andare avanti egoisticamente… In tutte queste cose, ma questo non fa bene alla Chiesa: la Chiesa deve essere coraggiosa! Noi tutti dobbiamo essere coraggiosi nella preghiera, sfidando Gesù.”

giovedì 2 maggio 2013

2 maggio. Giovedì V settimana Tempo Pasquale

Papa Francesco si è soffermato sui primi passi della Chiesa che, dopo Pentecoste, è uscita per andare nelle “periferie della fede” ad annunciare il Vangelo. Il Papa ha osservato che lo Spirito Santo fa due cose: “prima spinge” e crea anche dei “problemi” e poi “fa l’armonia della Chiesa”. A Gerusalemme dunque, tra i primi discepoli, “c’erano tante opinioni” sull’accoglienza dei pagani nella Chiesa. C’è chi diceva “no” ad un accordo, e chi invece era aperto:
“C’era una Chiesa del 'No, non si può; no, no, si deve, si deve, si deve’, e una Chiesa del 'Sì: ma … pensiamo alla cosa, apriamoci, c’è lo Spirito che ci apre la porta’. Lo Spirito Santo doveva fare il suo secondo lavoro: fare l’armonia di queste posizioni, l’armonia della Chiesa, fra loro a Gerusalemme e fra loro e i pagani. E’ un bel lavoro che fa sempre, lo Spirito Santo, nella storia. E quando noi non lo lasciamo lavorare, incominciano le divisioni nella Chiesa, le sètte, tutte queste cose … perché siamo chiusi alla verità dello Spirito”.
Ma qual è dunque la parola chiave in questa disputa alle origini della Chiesa? Papa Francesco ha ricordato le parole ispirate di Giacomo, del vescovo di Gerusalemme, che sottolinea come non si debba imporre sul collo dei discepoli un giogo che gli stessi padri non sono stati in grado di portare:
“Quando il servizio del Signore diventa un giogo così pesante, le porte delle comunità cristiane sono chiuse: nessuno vuole venire dal Signore. Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati. Prima questa gioia del carisma di annunciare la grazia, poi vediamo cosa facciamo. Questa parola, giogo, mi viene al cuore, mi viene in mente”.
Il Papa si è soffermato su cosa significhi oggi nella Chiesa portare un giogo. Gesù, ricorda, chiede a tutti noi di rimanere nel suo amore. Ecco allora che proprio da questo amore nasce l’osservanza dei suoi comandamenti. Questa, ha ribadito, è “la comunità cristiana del sì” che rimane nell’amore di Cristo e dice dei ‘no’ “perché c’è quel sì”. E’ questo amore, ha affermato ancora il Papa, che “ci porta alla fedeltà al Signore”… “perché io amo il Signore non faccio questo” o quest’altro:
“E’ una comunità del ‘sì’ e i ‘no’ sono conseguenza di questo ‘sì’. Chiediamo al Signore che lo Spirito Santo ci assista sempre per diventare comunità di amore, di amore a Gesù che ci ha amato tanto. Comunità di questo ‘sì’. E da questo ‘sì’ compiere i comandamenti. Comunità di porte aperte. E ci difenda dalla tentazione di diventare forse puritani, nel senso etimologico della parola, di cercare una purezza para-evangelica, una comunità del ‘no’. Perché Gesù ci chiede prima l’amore, l’amore per Lui, e di rimanere nel Suo amore”.Ed ecco allora, conclude il Papa, che “quando una comunità cristiana vive nell’amore confessa i suoi peccati, adora il Signore, perdona le offese”. E, ancora, "ha carità con gli altri" e "la manifestazione dell’amore” e così “sente l’obbligo di fedeltà al Signore di fare come i comandamenti”.

mercoledì 1 maggio 2013

1 maggio. Mercoledì V settimana Tempo Pasquale


Nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno Gesù viene chiamato il “figlio del falegname”. Giuseppe era un lavoratore e Gesù ha imparato a lavorare con lui. Nella prima lettura si legge che Dio lavora per creare il mondo. Questa “icona di Dio lavoratore – afferma il Papa - ci dice che il lavoro è qualcosa di più che guadagnarsi il pane”: 
“Il lavoro ci dà la dignità! Chi lavora è degno, ha una dignità speciale, una dignità di persona: l’uomo e la donna che lavorano sono degni. Invece quelli che non lavorano non hanno questa dignità. Ma tanti sono quelli che vogliono lavorare e non possono. Questo è un peso per la nostra coscienza, perché quando la società è organizzata in tal modo, che non tutti hanno la possibilità di lavorare, di essere unti della dignità del lavoro, quella società non va bene: non è giusta! Va contro lo stesso Dio, che ha voluto che la nostra dignità incominci di qua”. 
“La dignità – ha proseguito il Papa - non ce la dà il potere, il denaro, la cultura, no! …. La dignità ce la dà il lavoro!” e un lavoro degno, perché oggi tanti “sistemi sociali, politici ed economici hanno fatto una scelta che significa sfruttare la persona”: 
“Non pagare il giusto, non dare lavoro, perché soltanto si guarda ai bilanci, ai bilanci dell’impresa; soltanto si guarda a quanto io posso approfittare. Quello va contro Dio! Quante volte – tante volte – abbiamo letto su ‘L’Osservatore Romano’…. Un titolo che mi ha colpito tanto il giorno della tragedia del Bangladesh, ‘Vivere con 38 euro al mese’: questo era il pagamento di queste persone che sono morte… E questo si chiama ‘lavoro schiavo!’. E oggi nel mondo c’è questa schiavitù che si fa col più bello che Dio ha dato all’uomo: la capacità di creare, di lavorare, di farne la propria dignità. Quanti fratelli e sorelle nel mondo sono in questa situazione per colpa di questi atteggiamenti economici, sociali, politici e così via…”. 
Il Papa cita un rabbino del Medio Evo che raccontava alla sua comunità ebraica la vicenda della Torre di Babele: allora i mattoni erano molto preziosi: 
“Quando un mattone, per sbaglio, cadeva, c’era un problema tremendo, uno scandalo: ‘Ma guarda cosa hai fatto!’. Ma se uno di quelli che facevano la torre cadeva: ‘Requiescat in pace!’ e lo lasciavano tranquillo… Era più importante il mattone che la persona. Questo raccontava quel rabbino medievale e questo succede adesso! Le persone sono meno importanti delle cose che danno profitto a quelli che hanno il potere politico, sociale, economico. A che punto siamo arrivati? Al punto che non siamo consci di questa dignità della persona; questa dignità del lavoro. Ma oggi la figura di San Giuseppe, di Gesù, di Dio che lavorano - questo è il nostro modello - ci insegnano la strada per andare verso la dignità”.
Oggi – ha osservato il Papa – non possiamo dire più quello che diceva San Paolo: “Chi non vuol lavorare, non mangi”, ma dobbiamo dire: “Chi non lavora, ha perso la dignità!”, perché “non trova la possibilità di lavorare”. Anzi: “La società ha spogliato questa persona di dignità!”. Oggi – ha aggiunto il Pontefice – ci fa bene riascoltare “la voce di Dio, quando si rivolgeva a Caino” dicendogli: “Caino, dov’è tuo fratello?”. Oggi, invece, sentiamo questa voce: “Dov’è tuo fratello che non ha lavoro? Dov’è tuo fratello che è sotto il lavoro schiavo?”. Il Papa conclude: “Preghiamo, preghiamo per tutti questi fratelli e sorelle che sono in questa situazione. Così sia”.

martedì 30 aprile 2013

30 aprile. Martedì V settimana Tempo Pasquale


"Si può custodire la Chiesa, si può curare la Chiesa e noi dobbiamo farlo con il nostro lavoro, ma il più importante è quello che fa il Signore: è l’Unico che può guardare in faccia il maligno e vincerlo. Viene il principe del mondo', contro di me non può nulla: se vogliamo che il principe di questo mondo non prenda la Chiesa nelle sue mani, dobbiamo affidarla all’Unico che può vincere il principe di questo mondo. E qui la domanda: noi preghiamo per la Chiesa, ma per tutta la Chiesa? Per i nostri fratelli che non conosciamo, dappertutto nel mondo? E’ la Chiesa del Signore e noi nella nostra preghiera diciamo al Signore: Signore, guarda la tua Chiesa… E’ tua. La tua Chiesa sono i nostri fratelli. Questa è una preghiera che noi dobbiamo fare dal cuore, sempre di più".
Poi, Papa Francesco ha rimarcato che “è facile pregare per chiedere una grazia al Signore”, “per ringraziare” o quando “abbiamo bisogno di qualcosa”. Ma fondamentale, ha spiegato, è pregare il Signore per tutti, per coloro che hanno “ricevuto lo stesso Battesimo” dicendo "Sono i tuoi, sono i nostri, custodiscili”:
"Affidare la Chiesa al Signore è una preghiera che fa crescere la Chiesa. E’ anche un atto di fede. Noi non possiamo nulla, noi siamo poveri servitori – tutti – della Chiesa: ma è Lui che può portarla avanti e custodirla e farla crescere, farla santa, difenderla, difenderla dal principe di questo mondo e da quello che vuole che la Chiesa diventi, ovvero più e più mondana. Questo è il pericolo più grande! Quando la Chiesa diventa mondana, quando ha dentro di sé lo spirito del mondo, quando ha quella pace che non è quella del Signore – quella pace di quando Gesù dice 'Vi lascio la pace, vi do la mia pace', non come la dà il mondo – quando ha quella pace mondana, la Chiesa è una Chiesa debole, una Chiesa che sarà vinta e incapace di portare proprio il Vangelo, il messaggio della Croce, lo scandalo della Croce… Non può portarlo avanti se è mondana". 
Papa Francesco è tornato più volte sull’importanza della preghiera per affidare “la Chiesa al Signore”, via per la “pace che solo lui può dare”:
"Affidare la Chiesa al Signore, affidare gli anziani, gli ammalati, i bambini, i ragazzi… 'Custodisci Signore la tua Chiesa': è tua! Con questo atteggiamento Lui ci darà, in mezzo alle tribolazioni, quella pace che soltanto Lui può dare. Questa pace che il mondo non può dare, quella pace che non si compra, quella pace che è un vero dono della presenza di Gesù in mezzo alla sua Chiesa. Affidare la Chiesa che è in tribolazione: ci sono grandi tribolazioni, la persecuzione… ci sono. Ma ci sono anche le piccole tribolazioni: le piccole tribolazioni della malattia o dei problemi di famiglia… Affidare tutto questo al Signore: custodisci la tua Chiesa nella tribolazione, perché non perda la fede, perché non perda la speranza". 
“Che il Signore ci faccia forti per non perdere la fede, non perdere la speranza”, ha detto il Papa, rimarcando che questa deve sempre essere la richiesta del cuore al “Signore”. “Fare questa preghiera di affidamento per la Chiesa – ha concluso  ci farà bene e farà bene alla Chiesa. Darà grande pace a noi e grande pace alla Chiesa, non ci toglierà delle tribolazioni, ma ci farà forti nelle tribolazioni”. 

lunedì 29 aprile 2013

29 aprile. Lunedì V settimana Tempo Pasquale


Il Papa ha aperto l’omelia con una riflessione sulla prima Lettera di san Giovanni (1,5-2,2), nella quale l’apostolo «parla ai primi cristiani e lo fa con semplicità: “Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna”. Ma “se diciamo di essere in comunione con Lui”, amici del Signore, “e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità”. E a Dio bisogna adorarlo in spirito e in verità».
«Cosa significa — si è chiesto il Papa — camminare nelle tenebre? Perché tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita, anche momenti dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio, no? Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso. Essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre!». E, ha proseguito, «quando uno va avanti su questa strada delle tenebre, non è facile tornare indietro. Perciò Giovanni continua, forse questo modo di pensare lo ha fatto riflette: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi”. Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti. Questo è il punto di partenza».
«Ma se confessiamo i nostri peccati — ha spiegato il Pontefice — Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta, vero?, quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona. Quando il Signore ci perdona fa giustizia. Sì, fa giustizia prima a se stesso, perché Lui è venuto per salvare e  quando ci perdona  fa giustizia a se stesso. “Sono salvatore di te” e ci accoglie». Lo fa nello spirito del salmo 102: «“Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono”, verso quelli che vanno da Lui. La tenerezza del Signore. Ci capisce sempre, ma anche non ci lascia parlare: Lui sa tutto. “Stai tranquillo, vai in pace”, quella pace che soltanto Lui dà».
È quanto «succede nel sacramento della riconciliazione. Tante volte — ha detto il Santo Padre — pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria». La confessione è «un incontro con Gesù che ci aspetta come siamo. “Ma, Signore, senti, sono così”. Ci fa vergogna dire la verità: ho fatto questo, ho pensato questo. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana. La capacità di vergognarsi: non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono sinvergüenza. Questo è “uno senza vergogna”, perché non ha la capacità di vergognarsi. E vergognarsi è una virtù dell’umile».
Papa Francesco ha quindi ripreso il passo della lettera di san Giovanni. Sono parole, ha detto, che invitano ad aver fiducia: «Il Paràclito è al nostro fianco e ci sostiene davanti al Padre. Lui sostiene la nostra debole vita, il nostro peccato. Ci perdona. Lui è proprio il nostro difensore, perché ci sostiene. Adesso, come dobbiamo andare dal Signore, così, con la nostra verità di peccatori? Con fiducia, anche con allegria, senza truccarci. Non dobbiamo mai truccarci davanti a Dio! Con la verità. In vergogna? Benedetta vergogna, questa è una virtù».
Gesù aspetta ciascuno di noi, ha ribadito citando il vangelo di Matteo (11, 25-30): «“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi”, anche del peccato, “e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile nel cuore”. Questa è la virtù che Gesù chiede a noi: l’umiltà e la mitezza».
«Umiltà e mitezza — ha proseguito il — sono come la cornice di una vita cristiana. Un cristiano va sempre così, nell’umiltà e nella mitezza. E Gesù ci aspetta per perdonarci. Possiamo fargli una domanda: allora andare a confessarsi non è andare a una seduta di tortura? No! È andare a lodare Dio, perché io peccatore sono stato salvato da Lui. E Lui mi aspetta per bastonarmi? No, con tenerezza per perdonarmi. E se domani faccio lo stesso? Vai un’altra volta, e vai e vai e vai. Lui sempre ci aspetta. Questa tenerezza del Signore, questa umiltà, questa mitezza».
Il Papa ha infine invitato ad aver fiducia nelle parole dell’apostolo Giovanni: «Se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito verso il Padre». E ha concluso: «questo ci dà respiro. È bello, eh? E se abbiamo vergogna? Benedetta vergogna, perché quella è una virtù. Il Signore ci dia questa grazia, questo coraggio di andare sempre da Lui con la verità, perché la verità è luce. E non con la tenebra delle mezze verità o delle bugie davanti a Dio».